La nostra Storia
Nella selva di locali di ristoro distesi nella città e nella periferia per raccogliere turisti in cerca di menù a prezzo fisso e studenti insoddisfatti della loro messa, il più underground è a Marina di Pisa, fuori dall’occhio del turista, ignorato da chi non abbia qualche goccio di pisanità nel sangue. All’angolo di via Curzolari. dietro la vecchia Gallinari (poi Cimasa, poi Fiat, oggi Stotofides), senza scritte di grosso richiamo, con una porticina d’accesso al locale che sembra più quella di un’abitazione privata che di un esercizio pubblico, lavora Gino. Impossibile incappare in una comitiva di turisti, in gente che parti lingue esotiche; da Gino, (al secolo Gino Conti, 62 anni) si parla solo il “pisese”, la clientela è spesso in tuta, la posateria d’argento é un’aspirazione che non sarà mai raggiunta, l’ambiente è di stampo più che familiare. Ed anche il menù é quanto di più familiare si possa pensare; in cucina, Gino confeziona infatti cosa passa il convento, cioè il mare.
II menù, qua sfugge ad ogni regola tradizionale, poiché vi si cucina pesce che da anni, purtroppo, nessuno più cucina. Per partire, la minestra di pesce della quale i più hanno perduto anche il ricordo, a meno che non dispongano in famiglia di una suocera paziente, che batta il mercato, faccia incetta di pesciolini di marca, e poi ti confezioni il tutto con tanta puntigliosità da sembrarti un dispetto;
II menù, qua sfugge ad ogni regola tradizionale, poiché vi si cucina pesce che da anni, purtroppo, nessuno più cucina. Per partire, la minestra di pesce della quale i più hanno perduto anche il ricordo, a meno che non dispongano in famiglia di una suocera paziente, che batta il mercato, faccia incetta di pesciolini di marca, e poi ti confezioni il tutto con tanta puntigliosità da sembrarti un dispetto;
da “Gino” la minestra di pesce è invece all’ordine del giorno e, semmai, basta un colpo di telefono per trovarla in tavola nel giorno voluto. Di secondo piatto, non badate a cosa consigliano i menù cui ci hanno abituato i ristoranti di tutta Italia; qua è d’obbligo un bell’agerto alla pozzolana (si noti: l’agerto è un pesce che al mercato non si riesce aa vendere neppure con la grave congiuntura economica, perché è grasso e pesante ma qua viene nobilitate a leccornia; il fritto è di barca (autentico, non ruote fritte di totano incartapecorito, come ormai larga parte dei turisti che girano l’Italia credono sia il pesce del Mediterraneo), meglio se aggiughe o sarde.
A Cura di Renzo Castelli.